La sanità sui binari al servizio della guerra. Cristian Rossi
Le necessità strategiche belliche, soprattutto nei periodi più operativi, richiedevano di effettuare lo sgombero a mezzo ferrovia, dei feriti e dei malati dagli ospedaletti da campo e dagli stabilimenti di ricovero prossimi al fronte, mediante treni appositamente allestiti. L’esigenza di allontanare i feriti mediante convogli sanitari attrezzati fu sicuramente frutto di esperienze passate, non solo italiane. Dalla metà dell’Ottocento le principali Società Ferroviarie furono impegnate al servizio degli eserciti e dei loro feriti permettendo un’importante mobilitazione dai campi di battaglia. Già nelle guerre di Crimea del 1855-1856, d’Italia del 1859 (2^ Guerra d’Indipendenza) e di Boemia e Italia del 1866 (3^ Guerra d’Indipendenza) vennero utilizzate le strade ferrate per il trasporto dei feriti dai campi di battaglia. I rudimentali primi carri chiusi, normalmente utilizzati per il trasporto delle merci e degli animali, in guerra venivano impiegati per farvi coricare i soldati feriti su abbondanti strati di paglia e fieno, rendendoli così utili nello sfollamento. Successivamente, dopo l’Esposizione Internazionale di Parigi del 1867, vennero presentati nuovi veicoli su rotaia, all’uopo dedicati, propriamente denominati “treni ospedale”. Mentre in Germania si organizzarono già dal 1871 ventuno treni ospedale, capaci di trasportare ciascuno circa 200 feriti, dotati di carrozze appositamente arredate e fornite del necessario per il trasporto sanitario, in Italia venne nominata una speciale commissione per studiare modelli nuovi o trasformazioni di carrozze esistenti da presentare all’Esposizione Nazionale di Milano. La Società Veneta, un’impresa di costruzioni ferroviarie, presentò un suo progetto di adattamento di alcuni modelli di carrozze già in uso sulle linee in concessione, che in tal modo venivano allestite appositamente per questo particolare trasporto. Molto venne ispirato da veicoli americani, inglesi e francesi, cercando di migliorare gli aspetti di confort e di fruibilità del materiale. La neonata Croce Rossa Italiana, che ispirava i propri principi al soccorso dei feriti ed ammalati in guerra, come voluta dal suo famoso precursore (Henry Duunant), volle non solo prender parte agli studi di progettazione per l’allestimento di questi convogli, ma successivamente gestirli, sia dal punto di vista dell’arredo sia dell’organizzazione e dell’impiego, organizzando dei propri equipaggi dedicati, ed impiegati a bordo dei primi tredici convogli messi a disposizione dell’Esercito Italiano. Si convenne di trasformare parte del materiale ferroviario già adibito al trasporto viaggiatori, in particolare delle carrozze scelte fra quelle della classe minore, che venivano allestite al momento del bisogno. Di primaria importanza era l’intercomunicabilità delle carrozze, evitando l’uso del vecchio tipo a terrazzini, che sebbene fino ad allora fosse stato comunque impiegato a scopo sanitario, risultava assai scomodo nelle fasi di passaggio del personale di assistenza e di servizio da un vagone all’altro. Tali vecchie carrozze rimasero comunque in servizio e a disposizione dell’Esercito. Per garantire un massimo numero di barelle, che andavano ad occupare gli spazi dei sedili, si pensò di disporle su due file fra loro sovrapposte, così favorendo l’areazione, il riscaldamento e l’illuminazione. […] L’adozione di sistemi di ventilazione indipendenti dalle porte e dalle finestre è di grande importanza, anche pel fatto che le barelle devono essere sovrapposte, per cui le superiori si trovano in corrispondenza delle finestre e l’azione di una corrente d’aria troppo immediata può riuscire di danno ai degenti nelle medesime (1)
Altra particolarità doveva riguardare il riscaldamento, che in tempo di pace veniva garantito attraverso delle scaldiglie scaldapiedi, in realtà non sufficienti ad assicurare quel tepore necessario al benessere dei malati e dei feriti. La temperatura minima interna doveva essere di 12° C , molti per quel tipo di carrozze, prive di isolamento, e che erano destinate a viaggiare dagli Appennini alle Alpi in caso di conflitto. Si pensò allora che la cosa migliore fosse, dopo aver provato delle stufe refrattarie collocate nei vestiboli, quella di realizzare delle carrozze con dei sistemi di condotta a vapore prelevato dalla caldaia della locomotiva. L’illuminazione avveniva mediante lampade ad olio con scarico fumi all’esterno, implementate da lanterne trasportabili a candele steariche. Sulle stufe, apposite cassette contenenti acqua bollente permettevano la sterilizzazione di garze e strumentario. Le carrozze sanitarie e di alloggio personale, richiesero invece un ripensamento del viaggio per ferrovia, che solitamente vedeva il soldato ammassato o comunque seduto. Il trasporto sanitario mobile su rotaia, rispetto a quello su carro, agli albori della motorizzazione stradale era certamente il più sicuro, il meno traumatico e consentiva il trasporto di massa dei malati e dei feriti. Per guadagnare spazio e aumentare la capienza delle carrozze, si rese necessario studiare ed adottare dei nuovi sistemi di aggancio e sicurezza che durante la Grande Guerra diedero ottimi risultati e furono di gran lunga perfezionati. […] Per la sospensione delle barelle al tetto del vagone dà eccellenti risultati il sistema Amburgo usato nei treni ospedale prussiani durante la guerra del 1870-1871 franco-prussiana. Le barelle sono in questo sistema sospese a due a due a distanza di 90 centimetri l’una sull’altra ad una corda che si attacca al gancio di una molla a spirale portata da una robusta tenaglia doppia detta a branche del diavolo, la quale stringe le traverse del soffitto del vagone tanto quanto più maggiore è il carico da essa portato. Per evitare le oscillazioni delle barelle, che potrebbero riuscire anche piuttosto considerevoli, esse sono fissate alle pareti del vagone con ganci elastici introdotti in occhielli applicati alle medesime. Dopo numerosi esperimenti; resi possibili non soltanto a prove, ma ad esperienze di guerra, le carrozze italiane migliorarono con un sistema valido e semplice, che saldamente sorreggeva le barelle, garantendo stabilità e sicurezza anche nel caso di pesi notevoli. […] Questo sistema proposto dal colonnello Tosi e dal colonnello di Lenna è stato adottato pei treni ospedale della Croce Rossa Italiana. Consiste in montanti di legno alti metri 1.70 larghi metri 0.045 e spessi metri 0.06, rinforzati superiormente ed inferiormente da lamine di ferro e in mensole pure in legno lunghe metri 0.75, di spessore e larghezza uguali a quelle del montante, foggiate a ribordo nell’estremità libera e nella metà circa della loro lunghezza. Ogni mensola, nell’estremità che si unisce al montante, porta fissate a vite due piastrine di ferro, che per mezzo di altre vite assicurano la mensola al montante. Una duplice saetta di ferro, alquanto ricurva, fissata con due viti al montante ed alla mensola, serve a sostenere quest’ultima. 3 Non da meno fu il problema delle latrine e dello scarico degli escrementi, che doveva certamente non essere attiguo agli scompartimenti di degenza per questioni di igiene e vivibilità. […] Il sistema più semplice è quello di gettare le materie sulla strada ferrata, da un tubo applicato sulla piattaforma dei vagoni, ma esso è poco proprio per la quantità considerevole di materie che si possono avere su un treno di duecento feriti o malati e la difficoltà che il personale di servizio possa scegliere il punto appropriato della linea, lontano dall’abitato, in cui gettarle. È preferibile perciò il sistema di raccogliere le materie in appositi recipienti che si vuotano poi nei luoghi di sosta dei treni. Si hanno all’uopo dei sedili mobili, che stanno abitualmente sulle piattaforme e che si trasportano ove occorre, o secondo una disposizione assai lodata dal Di Fede, si tengono fuori dal vagone dei mastelli di legno ben impegolati con valvola automatica ove si raccolgono gli escrementi e si neutralizzano con soluzione disinfettante.4 Nel 1886 il Ministero della Guerra, proprio nel riorganizzare il Servizio Sanitario Militare decise di estendere il servizio di trasporto feriti ed ammalati anche ai convogli dell’Associazione dei Cavalieri del Sovrano Ordine Militare di Malta, che dal 1877 promuoveva il soccorso e l’assistenza ai feriti. I tre convogli ferroviari dello SMOM, formati da ventitré carrozze andarono a rinforzare e implementare la disponibilità di treni sanitari italiani, e durante il primo conflitto aumentarono a quattro. Alle ore 05.21 del 28 dicembre 1908 un drammatico ed impressionante terremoto con conseguente maremoto, di elevato potere distruttivo, andava a colpire le coste calabro – sicule, provocando enormi distruzioni e centinaia di morti. La Croce Rossa e l’Ordine dei Cavalieri di Malta misero in funzione i propri “Treni Ospedale” occupandosi della cura dei feriti e del loro trasferimento in altre città, al fine di non intasare le strutture sanitarie locali. Partendo dai depositi ferroviari questi convogli, che rappresentarono una sorta di protezione civile di primo novecento, formata da crocerossine, militari, Ferrovieri e volontari, grazie alla nuova organizzazione di trasporto sanitario diedero prova di efficienza assicurando un’assistenza capillare fin dove la rete ferroviaria rimase indenne. Nella disgrazia del 1908, che ne preannunciava una assai maggiore, si provarono concretamente questi nuovi veicoli ferroviari, se ne capirono le potenzialità, le deficienze e le esigenze di modifiche che alla luce di questa triste esperienza vennero effettivamente
realizzate. Al servizio dell’Esercito Italiano, questi treni inizialmente dovevano trasportare i feriti e i malati per diminuire l’ingombro degli ospedali da campo, ove i feriti raccolti dal fronte vi giungevano continuamente. Fu spesso necessario, qualora non vi fosse disponibilità di convogli sanitari, improvvisare il trasporto feriti mediante treni merci vuoti di ritorno. Pertanto i carri merci che giungevano alle stazioni di testa carichi di materiali, venivano riutilizzati per allontanare i soldati feriti verso le retrovie. L’utilizzazione delle normali carrozze dei treni ordinari era consentita solo ed esclusivamente per quegli ammalati che potevano viaggiare seduti e senza speciale assistenza. Tutto il materiale ferroviario che veniva occasionalmente utilizzato doveva essere concordato fra l’Autorità Militare e la dirigenza ferroviaria. I treni sanitari erano sempre contraddistinti da un numero d’ordine e dai distintivi di neutralità previsti dalla Convenzione di Ginevra, che in omaggio alla Svizzera, patria del suo fondatore Henry Dunant, adottò il segno araldico della croce rossa su fondo bianco, formato dall’inversione dei colori dello stemma federale svizzero, mantenuto come emblema e segno distintivo del servizio sanitario da tutti gli eserciti coinvolti. L’emblema, dipinto sul tetto e sui lati delle carrozze facenti parte del convoglio sanitario, doveva essere ben visibile da un’adeguata distanza, assicurando in tal modo la neutralità e l’inattaccabilità del convoglio da parte di unità nemiche, specialmente aeree di artiglieria.
Il regolamento prevedeva che il treno-ospedale fosse formato da carrozze intercomunicanti, attrezzate e destinate alla cura ed assistenza dei feriti, all’alloggio del personale di servizio ed alla stiva dei materiali. ll convoglio, che generalmente veniva trainato dalle locomotive a vapore Gr. 290 o Gr. 650 era allestito con carrozze a carrelli del tipo Clz Tipo 1907 -1910 (vedi composizione alle pagine seguenti). I veicoli destinati a contenere le barelle, che venivano ordinate in due file, venivano predisposti dalle officine ferroviarie. Giunto l’ordine di mobilitazione, si provvedeva a rimuovere i sedili in legno ed a predisporre le necessarie mensole di appoggio sui montanti laterali; inoltre le numerose porte venivano chiuse, lasciando aperte solo quella del frenatore e quelle a battente doppio che permettevano un più agevole carico delle barelle. Il materiale d’arredamento e le barelle venivano installate con l’ausilio del personale ferroviario, per evitare che in tale operazione venissero arrecati danni alle vetture. Venivano inoltre dipinti i distintivi di neutralità e collocati i cartelli indicanti il numero del treno. Come prescritto veniva effettuata un’iniziale disinfezione degli scompartimenti ed il carico degli effetti, dei letterecci, dei farmaci, dello strumentario e dei cofani di sanità. Oltre alle carrozze attrezzate per il carico delle barelle, venivano agganciate anche quelle ausiliarie, quali la carrozza cucina-refettorio del personale, la carrozza ufficio-magazzino, il bagaglio vestiario e le carrozze per le infermiere ed il personale direttivo. Il treno al suo completo era formato da 13 carrozze più un bagaglio non comunicante. Il personale ferroviario previsto era sottoposto al regolamento dall’Autorità Ferroviaria, di concerto con l’Intendenza Generale Trasporti e Sanità. La composizione del personale di servizio e di ufficio del treno prevedeva: 1. Un primo ufficiale Capitano come Direttore del Treno; 2. Due ufficiali medici subalterni come assistenti; 3. Un ufficiale subalterno d’amministrazione; 4. Un Cappellano Militare; 5. Due Sergenti Maggiori di cui uno impiegato in mansioni d’ufficio e contabilità; 6. Sei Caporali Maggiori o Caporali Aiutanti di Sanità; 7. Dieci soldati di Sanità; 8. Venti soldati portaferiti; 9. Sette soldati per servizi (2 cuochi, 2 aiutanti di cucina,1 barbiere, 1 sarto,1 calzolaio); 10. Cinque soldati come attendenti; 11. Quattro Infermiere della Croce Rossa; 12. Un Capotreno delle Ferrovie dello Stato; 13. Frenatori, nel caso di impiego di carrozze sprovviste di freno continuo tipo F.S.
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